Miele amaro cambosu pdf
Gli si attribuisce anche saggezza di governo, in quanto sanc una legge contro gli oziosi e stabil lobbligatoriet della denuncia dei proventi. Degna di particolare nota la statuetta che rappresenta Aristeo col corpo ornato di api Museo di Cagliari trovata nel centro dellisola, presso Oliena, in regione detta sa vidda e su medde il villaggio del miele. Era solito dire Stefano Virde, il quale si atteneva per lo pi alle favole antiche, che, di un intero continente caduto in disgrazia, Dio salv unicamente questisola perch era abitata da una gente laboriosa e di semplici costumi.
Stefano Virde amava troppo la sua terra, lamava ciecamente: ne nascondeva i difetti e ne ingrandiva i pregi: tanto che non permetteva a nessuno, neppure ai suoi figli che erano andati raminghi in cerca di lavoro, nei continenti estraeuropei , e neppure ai suoi nipoti che avevano passato il mare per fare le guerre : non permetteva nemmeno a loro di far dellironia sul conto del Sardo che ha, fra i suoi vezzi principali, anche quello dappartarsi e di mettersi a cantare nelle solitudini, come uno che pianga di nascosto.
Molti secoli prima che Stefano Virde nascesse, un terribile vescovo, Lucifero di Cagliari, era arrivato ad affermare che il pontefice di Roma era incorso in errore, reintegrando nella loro dignit i pastori danime che erano ritornati allovile, gi fautori delleresia dArio, al fianco dellimperatore Costanzo, contro Atanasio:1 errore tanto grave, a suo parere, che anche come reduce dallesilio che aveva scontato nella Tebaide con dignit ed estremo coraggio e aperto vilipendio di Costanzo che glie lo aveva inflitto si sentiva autorizzato a mettersi in rotta con la Curia romana, e a proclamare la Sardegna immune da lue eretica, e perci la sola sede che fosse 1.
Lucifero, vescovo di Cagliari. Nellinverno si reca con altri, messo del papa Liberio, dallimperatore Costanzo per chiedergli la convocazione di un nuovo concilio per risolvere la controversia ariana.
Ma chi nel sinodo tenuto nel a Milano non volle sottoscrivere la condanna dAtanasio fu esiliato. Tra gli altri lesilio colp anche Lucifero il quale fu inviato a Germanicia di Commagene, poi a Eleuteropoli di Palestina e in ultimo nella Tebaide.
Di qui egli sfidava il tiranno e lo provocava con invettive come filius pestilentiae, mendax, homicida. Il che faceva dire con sarcasmo a San Gerolamo: il Figlio di Dio non essere disceso ob tantum Sardorum mastrucam. Cos, linflessibile e intransigente presule e Stefano Virde, a distanza di secoli luno dallaltro, mostravano di essere della stessa pasta e commettevano il medesimo errore: di impermalirsi, dinselvatichirsi, di separarsi dal mondo, disolarsi, di diffidare della gente e delle cose di fuori.
Ancora oggi, dopo la loro morte luno relegato nel limbo dei santi di tollerato culto provinciale, laltro dorme in un cimitero di campagna ancora oggi si sente dire da qualcuno, Graziato da Giuliano lApostata si batt perch i vescovi che avevano piegato la schiena fossero s perdonati, ma non riammessi in seno alla chiesa cattolica con la loro dignit prelatizia, sibbene come semplici gregari.
Non gli fu dato ascolto. Relegatosi nella sua sede di Cagliari, e fatto da quella sua intransigenza quasi scismatico, vi mor nel o Durante lesilio compose opuscoli polemici, diretti contro Costanzo, violentissimi, che ci restano insieme con un suo epistolario.
Come scrittore, notevole per le importanti citazioni bibliche, numerosissime e di tipo italico, cio affine al testo del codice vercellese, e per la storia del latino. Latino rozzo e volgare il suo, ma pervaso di fervore religioso quasi fanatico.
Gli si contrappone solitamente un altro celebre vescovo sardo, suo contemporaneo e amico: Eusebio da Vercelli, danimo mite e conciliante tanto, quanto laltro ardente e inflessibile.
C chi ha voluto vedere in questi due contemporanei i paradigmi di due anime sarde, corrispondenti pressa poco al dualismo vigente quasi fino a ieri e gi rispecchiato nello stesso codice dEleonora: lantitesi tra il pastore e il contadino, tra il mangiatore di carne e il mangiatore di pane, tra un Nord e un Sud isolani che si avviano a un componimento amichevole, come nella penisola.
Stile di Lucifero, rivolto allimperatore che lo aveva esiliato: tu cimpedisci ogni umano conforto, le miniere tutte e i luoghi che potevano meritare il nome di esilio riempisti delle nostre persone relegandoci innocenti e travagliandoci con la fame con la sete con la nudit. Tu difendi i tuoi errori con la spada e noi difenderemo la religione non uccidendo ma morendo dal Moriendum esse pro Dei Filio. Rileggendo il suo latino volgare, col tono sempre acre e senza riguardi di fronte alleretico imperatore, ho ripensato alle foreste sarde ed ai monti aspri, dai quali Lucifero respir lo spirito robusto e combattivo Agostino Saba della Biblioteca Ambrosiana.
Vero che anche nel passato il Sardo seppe distinguere il grano dal loglio. Semprech infatti il forestiero veniva come ospite o visitatore o studioso, il Sardo si faceva in quattro per onorarlo. Sa domo est minore gli diceva su coro est mannu. Che se poi qualche ospite, ritornato a casa sua, illuso daver tutto compreso s voluto far bello con scoperte inverosimili e con qualche malignit intinta nellinchiostro, soltanto lui sfigur e continua a sfigurare.
Ma tornano sempre grati alla memoria i nomi di ospiti che hanno fatto onore a se stessi con opere che ogni Sardo dovrebbe avere nella sua biblioteca: dove anche le verit pi crude non furono taciute, ma il tono era, e rimane, dellamico, del poeta, dellindagatore, dello studioso che prepara il terreno al pioniere, al clinico, allingegnere.
Gli stranieri che arrivarono in armi nellisola dal mare e la sopraffecero e le camminarono sul cuore, la gente o non li nomina, o se li nomina, esce in frasi come questa: Su fogu si los mandighet il fuoco li divori.
Dobbiamo scontare un peccato? Scontiamolo pure diceva il nonno di Stefano Virde. Quale, mi domandi? Tutto quello che ti posso rispondere, figlio mio, questo: che colpa della stirpe, 2. Era il mito della cattiva stella: il complesso dei malfatati; mito che sera venuto radicando nei secoli, oltre che per il tragico delle invasioni e delle incursioni barbaresche, anche per gli eroismi sfortunati a cominciare dai pi remoti, in parte avvolti in un alone di leggenda.
Un lungo e sanguinoso elenco: da Amsicora al nome del pi umile fantaccino, inciso nella lapide dei caduti, nel pi ignorato dei paesetti. Amsicora, capo dellesercito sardo e anima della sollevazione contro Roma, il quale riesce a fuggire dopo la sconfitta inflittagli da Tito Manlio e, mentre riorganizza la lotta, si uccide al messaggio che suo figlio, il giovinetto Iosto, morto sul campo con le vene aperte e con la faccia contro il nemico.
Mucio era caduto gravemente ammalato. Manlio, condotte fin sotto Cagliari le sue navi, con i suoi marinai, armati in modo che potessero combattere anche per terra, e con lesercito avuto dal pretore, riusc a raccogliere 22 mila fanti e 1.
E muovendo con queste forze di fanteria e di cavalleria verso il territorio occupato dai nemici, mise il campo non lontano dagli accampamenti di Amsicora.
Amsicora in quel momento si trovava per caso presso i Sardi Pelliti a raccogliere giovani per accrescere le sue forze. Era comandante del campo suo figlio, Iosto: questi, pieno di giovanile baldanza, dando inizio con imprudente audacia alla battaglia, vi rimase sconfitto e poi messo in fuga.
In questa battaglia furono uccisi circa tremila Sardi e ne furono presi vivi circa ottocento. La rimanente parte dellesercito si disperse in fuga prima per i campi e per i boschi, ma poi si ritir nella citt di Cornus, capitale di regione, dove appunto si diceva che fosse fuggito il loro capo.
Con quella battaglia si sarebbe posto fine alla guerra in Sardegna se, a dar soccorso alla ribellione dei Sardi, non fosse sopraggiunta, al comando di Asdrubale, una flotta cartaginese, la quale era stata spinta da una tempesta fin sotto le Baleari. La legislatrice Eleonora dArborea: che innalz la bandiera dellindipendenza contro Aragona e che, forse, mor come una santa assistendo gli appestati.
Di essa Stefano Virde raccontava, Manlio, quando seppe dellarrivo della flotta cartaginese, si ritir a Cagliari: cos si lasci ad Amsicora loccasione di unirsi al Cartaginese. Asdrubale, dopo che ebbe sbarcato i suoi soldati e rimandata la flotta a Cartagine, mosse a devastare i campi delle popolazioni alleate dei Romani; sarebbe arrivato fino a Cagliari se Manlio, muovendogli incontro con un esercito, non gli avesse impedito la completa devastazione della campagna. Dapprima si posero gli accampamenti luno di fronte allaltro a breve distanza, poi si diede inizio alle incursioni e a scaramucce di poca importanza: infine si scese a battaglia, e con tutte le forze disponibili si combatt in regolare combattimento per quattro ore.
Lesito del combattimento fu a lungo incerto solo per la resistenza dei Cartaginesi, perch i Sardi si lasciavano di solito vincere senza difficolt; ma poi, quando tutto il terreno allintorno fu pieno di Sardi uccisi o in fuga, anche i Cartaginesi furono sbaragliati: ma il duce romano, circondando quella parte del campo dove aveva ricacciato in fuga i Sardi, precluse ogni scampo ai fuggitivi. Allora il combattimento si ridusse a una feroce strage: furono uccisi 12 mila Sardi e altrettanti Cartaginesi, furono fatti prigionieri circa Un bello e memorabile combattimento sostennero Asdrubale, che fu fatto prigioniero, Annone e Magone, nobili Cartaginesi: Magone era della gente dei Barca e parente prossimo di Annibale; Annone era stato il promotore della ribellione dei Sardi e senza dubbio sostenitore di quella guerra.
Anche i capi sardi resero con la loro morte memoranda quella battaglia: infatti in questa battaglia mor il figlio di Amsicora, Iosto; ed Amsicora, ormai in fuga con pochi cavalieri, quando, oltre alla sconfitta patita, seppe anche della morte del figlio, di notte, perch nessuno col suo intervento impedisse il suo proposito, si uccise.
Traduzione da Silio Italico, Punicae, XII: Ennio disceso dallantico re Messapo, guidava nella zuffa le prime schiere Gli muove incontro impetuoso Iosto, sperando di farsi immortale, se gli riuscisse di ricacciare tanta rovina, e vibra con forza lasta.
Seduto su di una nuvola, Apollo rise di quel vano sforzo, e mand lasta a perdersi lontano, fra i venti e la freccia mortale pass da parte a parte le tempie ad Iosto.
Sgomente per la morte del giovane, si volgono in fuga per i campi le sue schiere, e tutto lesercito in disordine si volge anchesso alla fuga. Allora il padre, non appena ud la morte del figlio, levando barbaro e inumano grido, si trapass il petto anelante, e dietro lorme del figlio si affrett ai Mani.
La stessa che il fiero prete Muroni, allorch sotto la bandiera dAngioy aveva sposato, dopo la parrocchia di Semestene, la causa degli oppressi contro i feudatari i cavalli di stalla , proclamava la Giovanna dArco dei Sardi. E il giudice di Bono non sera messo alla testa di quellesercito di schiavi? E non gli apriva la marcia un vento che faceva martellare da sole tutte le campane dei borghi? E a che era valso? Perch saccaniva cos contro di noi la sorte?
E poi tutti quelli che morirono nelle sabbie, nel fango delle trincee, nei mari e nelle nevi. Per tutto questo e anche a causa delle pesti una peste, una chiesa di campagna e anche a causa dei rovesci stagionali e delle bibliche locuste, un Sardo lo pensava, due Sardi che sincontrassero se lo confidavano, ma sottovoce per non svegliare il destino: Dio non grida ma giudica Deus non jubilat ma judicat : e, senza volerlo, calcavano laccento su questultima parola.
Perch, da non si sa quanto tempo, e quasi fino a ieri, il pastore alla grande disponeva nella sua capanna duna Bibbia che con tutti quei patriarchi gli teneva compagnia nelle solitudini: e lui, lanacoreta, la compitava sempre arrestandosi per alle soglie del Vangelo, come un escluso. Tuttal pi, se si attentava a entrare in quel paese promettente, egli si fermava a fare gruppo coi pastori invitati dagli angeli in quella antica notte di dicembre; ma, dopo quellomaggio, sentendosi di stirpe reietta, non sinoltrava, anzi ritornava con sconforto, come a luoghi di vita anteriore, allEgitto flagellato o alla casa decaduta di Giobbe.
Lo stesso maggior poeta della Sardegna4 si lasci verso quel tempo scoraggiare, almeno per un momento, dalle sfortune e dai lutti della sua gente, a tal punto che, rivolgendosi alle madri, avvalorava il mito della cattiva stella con questi disperati e astratti accenti oratori: O Madri o Madri!
Sebastiano Satta, autore di Canti Barbaricini e di Canti del salto e della tanca; coltiv anche la poesia dialettale. Cos, non si pu dire che i Sardi andassero alla festa ma gi sperano di potervi andare per divertirsi. Andavano alle feste, e in gran parte le frequentano ancora, piuttosto per stordirsi, per dimenticare. Per nascondere lansia e la cupezza nel tumulto e nellallegria rumorosa; o nelle danze ora troppo composte, quasi ieratiche, ora addirittura frenetiche; e gli stessi carnevali o sono ebbri di selvatici gridi, o consistono in quasi funebri silenzi che pesano come pietra.
Allegria chiusa e malata: recita convenzionale, dove tutti prendono la maschera: e in quel carnevale non resta che un solo spettatore che nessuno vede e tutti sentono: il Dio del Vecchio Testamento, lirato Dio dei fulmini. Le ore morte sono cos in soprannumero sulle ore vive: molto si esiste e poco si vive, se vivere significa, almeno, dormire un sonno sano e profondo e ridere spontaneamente di cuore; e se esistere significa sopra tutto la monotonia, le launeddas ,5 il malinteso, il ripicco, il litigio, la bruttezza del 5.
Agli albori della sua civilt la Sardegna conosceva le launeddas, strumento simile allauls greco, alla dukta russa, allo scitecki cinese, al sur naj persiano, allotou indiano e allarghoul egiziano. Alloriginale e autonoma espressione darte architettonica dei nuraghi preistorici e a quella della stessa epoca che riguarda la fusione dei metalli fa riscontro la sua antichissima musica: della stessa et ciclopica se non precedente la statuetta di bronzo la quale rappresenta una deit che suona le launeddas accompagnando o accennando un desiderio di danza.
Piccola statuetta, millimetri, di un trenta secoli fa. Il nume impugna lo strumento formato di tre canne convergenti sulle labbra: due di queste canne sono legate e modulate dalla mano sinistra: la prima intona il canto, la seconda lo accompagna; la terza canna, libera, modulata dalla mano destra, accorda un suono grave e perenne.
Questo strumento, come rileviamo da una nota dello Zedda, d la possibilit di produrre pi di due suoni contemporaneamente, ed la pi antica testimonianza della polifonia, arte che, solo dopo il , doveva essere registrata in Francia e in Inghilterra come linizio duna nuova ra musicale. Le dominazioni succedutesi nellisola non risulta abbiano modificato questo strumento indigeno o favorito leducazione musicale dei vinti. Anche il paesaggio, che vario quanto mai di contrada in contrada, il Sardo stava sul punto di perderlo definitivamente: egli si inselvatichiva fino a odiarlo: e lo feriva con la scure e lo inceneriva con lincendio doloso.
Ma gi egli non crede pi nelle Janas 7 che custodiscono i tesori con tanta gelosia da vendicarsi sul minatore, Tacito Annales, libro XIV, 3, 7, 8, 62 ricorda che Nerone esili in Sardegna Aniceto Alessandrino, suonatore di tibie, ma non risulta se questi abbia insegnato qualcosa ai suonatori isolani. Dal VI secolo sino alle invasioni dei Musulmani, e ancora sino a quando Pisa congiunta a Genova caccer questi dallisola, non si trova sviluppo alcuno dellarte musicale, se non indagando in seno alla vita ecclesiastica nelle principali sedi dellisola.
Mancano a questo riguardo specifici documenti di unattivit e duna manifestazione propriamente musicali, sicch possibile soltanto procedere per induzioni. Lo stesso strumento scrive Giulio Fara a tre tubi di canna, con lancia volta verso il cono, che suonava il sacerdote nello spianato vicino al nuraghe, tuttora fa sentire la sua esile e ronzante voce nelle solennit paesane. E la stessa corona di danzatori e danzatrici, con lo stesso ieratico procedere, con gli stessi rigidi movimenti, possiamo affermare, gira lenta intorno al suonatore.
Paesetti tra i pi miserabili del Nuorese. Diana: log. Queste fate vengono per lo pi concepite come esseri di minuscola statura e come incantatrici dotate di bellissima voce e del dono della profezia, di modo che di una persona fortunata si dice: est affadadu beni de is gianas, e di una persona sfortunata che isgianada; ma in alcuni paesi sono esseri malvagi e difformi, e perci susa il vocabolo anche nel senso di strega M.
Wagner, La lingua sarda, pp. Egli crede, invece, nella tecnica e nella medicina. Pu essere rimasta Vincenza Urru a parlar del diavolo che presiede alloro e lo fa carbone. I figli sanno bene che tra oro e carbone corre stretta parentela. Pu essere rimasto un qualsiasi Bonaventura Vedimorti come depositario ultimo e screditato del rimedio che, per allontanare la morte dai giovani, basti appendere alluscio della stanza dellinfermo una falce messoria.
Il Sardo ormai crede molto di pi nei sieri, dei quali ha esperimentato gli effetti anche sulle sue bestie. Ha visto che la zanzara stata distrutta, ed arrivato al punto di ridersi della leggenda che non vale muovere un dito.
Ha scritto sul ponte del Cedrino:8 Vincer luomo o la zanzara?. E una mano ha risposto: Luomo ha vinto. E ormai sa che luomo destinato a grandi cose. Arriva a dire tutto questo con la frase: Il forestiero, quante ne inventa che il rovescio delladagio: Pinta la legna. Se le fiumane e le acque precipitose o sotterranee causano lutti e rovine, egli non ricorre pi ai maghi che le esorcizzino, come avveniva al tempo di Stefano Virde: chiede, invece, lintervento dei tecnici. Se le cavallette sabbattono come nembi e con le loro scimitarre sono pi nefaste delle stesse orde saracene duna volta, non ricorre pi al fattucchiere che le scacci come figlie del demonio: suona, invece, le campane a stormo e scende in battaglia.
Baster perci assecondarlo perch continui su questa strada, lungo la quale, come gi presente e spera, incontrer il Dio del Nuovo Testamento, quello che come solito esprimersi uno dei pi giovani nipoti di Stefano Virde e figlio del grande capitano Giuseppe Tropea chiama ogni tanto Pietro e gli dice: Che te ne pare delluomo che vedo laggi, uno che sta facendo di tutto per aiutarsi? Io direi, Pietro, che meriti subito una mano daiuto. Fiume della Baronia Nuoro.
E anche Giuseppe Tropea ora dorme in quel cimitero di campagna. E non c lapide che lo ricordi; ma la sua croce ancora in piedi, perch fresca la sua sepoltura. Era, in certo senso, parente di Stefano Virde, perch, risalendo di un secolo o poco meno, i loro antenati avevano lo stesso cognome. E, del resto, non si stretti parenti, quando si della stessa terra sulla quale per di pi sempre passata, per tutti, come diceva Rosa Tracca, la bardana straniera? Quante cose cambiate, pi in meglio che in peggio, dal tempo di Giuseppe Tropea.
Era egli un capraro di media statura, col pizzetto a punta, vestito in bianco e nero come la rondine, occhi piccolini e mobilissimi, tiratore ineguagliabile alla palla impiccata, fischiatore non per nulla era capraro che si faceva sentire da un versante allaltro della valle, capitano infine dei barracelli guardie campestri giurate.
Quante cose cambiate nella lunga vita di Giuseppe Tropea. Per Giuseppe Tropea certe citt antiche e un po demoniache come Bitia, Nora, Tharros e Cornus, nonostante persone di buone lettere e degne di fede gli dessero per certo che sono esistite nellisola, a parte la non falsa testimonianza dei ruderi, per quel modesto capitano erano nomi vuoti, anzi pure fantasie.
Non basta. La prima volta che gli mostrarono in un libro grosso il disegno di una moneta di bronzo: una testa barbata, con sul vertice le penne da sembrare unupupa, e dietro la nuca un qualcosa come uno scettro, e gli fu spiegato che era il Sardopatore una specie di Padre Eterno della sola Ichnusa, come si chiamava allora la Sardegna, dal quale dipendeva il bello e il cattivo tempo Giuseppe Tropea prima ebbe a fare un fischio, poi disse che era nato capraro e capraro voleva morire, ma che non era matto al punto da stimare quella medaglia pi di unantica vile moneta.
Giuseppe Tropea invece si levava la berretta frigia a solo sentire nominare la citt di Cagliari in lingua materna Casteddu e ne dava due ragioni, che erano delle pi semplici e ingenue: primo, perch in certe filastrocche che aveva appreso da sua madre in fanciullezza e che citava a memoria Per Sassari e per Nuoro, e anche per Oristano, si limitava a toccarsi la berretta; e per Ozieri e per Tempio, e Iglesias e Bosa a fare un semplice inchino.
Uneccezione singolare faceva invece per Alghero, non perch ne apprezzasse le aragoste o il vino torbato o la visita di Carlo V, ma perch, nonostante la distanza, il suo villaggio apparteneva a quella diocesi: cos, se la nominava, si faceva il segno della croce.
Come spiegare allora che desse la palma a Cagliari, lui che di Cagliari non era e nemmeno dei Campidani? Lui che, anzi, ci teneva a non esserlo? Sta il fatto che Cagliari, a quei tempi, non era ancora n tram n radio, ma era gi Casteddu, il Castello: sede della massima Giustizia, dei grossisti, del sale, del fenicottero9 fiammante che arriva ad agosto e riparte in aprile, delle torri di Pisa, della festa di SantEfisio patrono dellisola.
Dicevano allora e dicono anche oggi: Egli a Cagliari per dire: arrivato dove voleva arrivare. Cos la frase di qui a Cagliari 9. Fenicotteri campidanese: mangonis. Soggiornano in Sardegna sei mesi: vengono in settembre, ripartono in marzo per lAfrica. Volano nellordine delle gru.
Sospettosi, le loro sentinelle gridano, suonano come una loro tromba dallarme. Vivono in riva agli stagni: hanno le gambe a stecco, le ali color fragola, raccolte; il capo indietro sul collo a S, in begli atteggiamenti come avessero lo spadino al fianco, hidalghi. Caligola, convinto dessere un dio, volle che il fenicottero e il pavone fossero le vittime da sacrificarsi alla sua deit; e il giorno prima che fosse trucidato si era asperso, in un sacrificio, col sangue dun fenicottero.
Di lingue di fenicottero si cibarono nei loro banchetti Vitellio ed Eliogabalo, trovandole del sapore delle midolla. Si sono fatti rari, forse vittime delle guerre africane.
I nipoti di Giuseppe Tropea sono arrivati pi lontano del loro antenato: alcuni hanno visto altre costellazioni; e hanno importato persino malattie che non si possono nominare, ma anche idee nuove e dimensioni e proporzioni diverse e disinganni; altri hanno fatto tante guerre da potersi vantare con voce amara dessere nati per fare il soldato quanto dura la vita. Tutto questo, somma di delusioni, di danni e di sciagure, li trov tanto stoici da non metterli in piena rotta col mondo.
Si direbbe che lunica vera vendetta che essi si siano presi consista in quel gettarsi sulle spalle il gabbano, e nel contrapporre a Roma con innocente orgoglio Casteddu mannu, quasi citt delle citt. Del resto tutte le strade di Sardegna conducono a Cagliari. Nonostante Cagliari, pur in Sardegna, non sia propriamente Sardegna.
Questa comincia appena al di l dei suoi nuovi quartieri di cemento, appena fuori delle sue porte, in fragili case di paglia e fango e, pi in l, in abitazioni di aspro granito, a mano a mano che le linee orizzontali e lo spazio disteso cedono alle oblique e allaccidentato, e che le siepi di fichidindia cedono alle muricce di Narbolia. Solo il traffico del suo porto febbrile, tanto che persino il pi ozioso che lo contempli ha la facile illusione di non restare inoperoso.
Nata sul mare, la sua storia pressa poco quella dun approdo e dun porto conteso. Ancora miraggio a forestieri che, bene accolti, vi si stanziano e avviano i loro negozi fortunati. La sua originaria fisionomia di villaggio di pescatori e di artigiani lhanno alterata fino allirriconoscibile le successive ondate di gente doltremare: is istrangius, stranieri e forestieri.
E anche le sovrapposizioni delle genti Muricce a secco o muri barbari, di architettura nuragica in cui sono maestri quei di Narbolia, villaggio dellOristanese. Essa ha accettato fin dallantico un ruolo subalterno. Non chiude le porte allospite pacifico e intraprendente, ma non ne accetta la sfida per emularlo. Gli si mette al fianco piuttosto: e da fiancheggiatrice e da intermediaria davvero esemplare.
Avere ufficio di mediatrice, questa la sua vocazione. Forestiere quasi tutte le iniziative, essa si appaga di offrirsi da scalo e da capace magazzino di merci importate da smistare allinterno.
Poco o nulla sogna: il suo sogno, tuttal pi, di avere, ora e sempre, un mercato favorevole dove collocarle, e dal quale prelevare generi da esportare. Per questo, risolvere i problemi dellinterno, fare uscire vaste plaghe dallarretratezza, s che pi producano e pi consumino, costituisce per Cagliari, ora capitale anche ufficiale, non solo una buona azione, ma anche un affare lucroso. Cos, laugurio che essa fa in cuor suo allimmediato retroterra e a tutta lisola che essi abbiano buone stagioni.
I capricci stagionali, i flagelli e le sorprese celesti che sabbattono sulla campagna toccano il cuore di Cagliari; e ne turbano anche il sonno, almeno come compromissione di affari. Quanto alla penisola, Cagliari vi guarda; ma con locchio attento per lo pi ai listini. La natura lha voluta aperta ai venti; la storia lha esposta ai pirati, ai cupidi forestieri, ai conquistatori.
Dindole sua tranquilla, fu costretta dopo aspre lotte a scegliere tra labbandonare la costa per unirsi ai ribelli delle Alpi barbaricine o il continuare a sopravvivere collaborando a prezzo di compromessi. Scelse questultima strada, che era il solo suo modo istintivo di ammansire e conquistare i conquistatori se quellunica volta che saffacci loccasione di accogliere, anzich combattere e vincere, uno straniero, la Francia dell89, che portava la libert, e quella vittoria, come stato scritto, fu una sventura, la colpa non fu dei Sardi del Nord e del Centro, ma neppure dei Sardi del Sud come popolo, fu colpa ed errore soltanto della classe dirigente retriva della citt principale.
Perci essa, anche nella rovina delle altre citt, non manc mai di prosperare, e pot uscire sempre viva dal fuoco, come la salamandra. Finch non arrivarono anche per lei, e quasi Il fuoco venne dal cielo: la citt and in cenere e faville, e gli scampati cercarono un rifugio nel retroterra e sostennero dignitosamente per mesi e mesi il duro esilio. Cantavano, allora, certi profughi unincomprensibile canzone che era nel suo intimo mistero un saluto a una patria antica perduta.
Si diceva fosse linguaggio di Nora, morta di maremoto, i cui pochi superstiti si erano rifugiati nella Trexenta. In questa contrada, una volta, secondo la leggenda, di trecento paesi, quei profughi avevano forse inventato la patetica canzone: una specie di attitidu canto funebre , un compianto senza consolazione, che dopo secoli e secoli ora altri profughi ripetevano con lo stesso sentimento desilio, con la stessa certezza di avere perduto ogni cosa.
Dopo la guerra, invece, ognuno ritorn alle sue rovine e non sindugi a piangere sulle pietre: ognuno risollev la sua casa. E sono ritornati i dolci inverni che non conoscono la neve e risvegliano i mandorli. E si pu unaltra volta andare verso la citt alta, lungo il viale dei pini contorti, a sciogliere quasi un voto, il voto duna visita a un santuario. Salire vedere il mare e larco puro del golfo, liridata distesa delle acque ferme degli stagni con le piramidi di sale, la compatta folla verde dei pini del Monte Urpino, il polledro di pietra del diavolo invisibile, i bianchi paesi che navigano nella luce, i loro campanili che si mandano lun laltro la voce come scolte.
Gi, oltre i vecchi tetti, quartieri nuovi, di cemento. Si sale ancora verso il Castrum le cui pareti a picco hanno buchi di finestre che agitano panni bianchi come bandiere di resa. Lorizzonte sallarga, rivela macchie verdi di vigne e di colture. Si entra nella citt fortificata. Le sue porte sono senza serrame, il sole ne diserta i budelli, si accoccola sui bastioni, cerca stemmi e blasoni e corone infrante. Sttani con Cristi fra le candele, voci di rivenduglioli, cadenze da cammellieri, atri freddi e disabitati Il nobile castello si va spopolando.
Musiche e canti traboccano dal Palazzo del Conservatorio e sinfrangono alle soglie del vicino Museo, dimora deroi di bronzo Ma si direbbe che quel mondo arcaico sia nato a spese del dolore della madre dellucciso la quale abitava un tempo nella Casa dellorco di Urzulei. Ad essa i Sardi del monte guardano come a una citt di vita mite e agevole. I Sardi del sottosuolo quasi lignorano. Agricoltori e pastori non vorrebbero starvi a nessun costo, ma invidiano chi vi dimora.
Deplorano la sua gente comoda che sta tutto il giorno dietro il banco a vendere quel che altri produce, e a incassare milioni; e che, quando chiude bottega e spegne le luci delle vetrine, si d a lauti pranzi e corre in grandi macchine ai teatri, e si ripaga delle ore sacrificate della giornata con tutti i divertimenti, anche i pi proibiti.
Gli stessi mendicanti del Nord, per questo, arrivano ad invidiare i mendicanti del Sud, quando sarebbe loro facile prendere esempio dalle rondini che vanno incontro alla bella stagione, o almeno da quegli industri pastori del monte che lasciano la neve e scendono ai pascoli invernali. Anche le reclute vanno a Cagliari cantando, perch Cagliari la bandiera, perch Cagliari lavventura, la luna da toccare con mano, liniziazione ai misteri.
I suoi giovani invece li si sente talvolta sparlarne in congiura quasi in un gergo ermetico, rivolti al mare e struggendosi di passarlo. Sassari e Nuoro la punzecchiano, ma come una nobile e ricca parente che parli col miele in bocca, mentre ruvido e forte il loro accento. Anche le ragazze del Nord hanno Orcus non designava soltanto il regno dei morti, ma era anche uno dei nomi di Plutone, e cos si spiega che nel dominio romanzo si usi come denominazione di un demone malvagio o duno stregone.
Questo appunto il significato che orcu ha in sardo, e si crede che abiti nei nuraghi, i quali si chiamano perci in molti luoghi domos de orcu M. Wagner, La lingua sarda, p. Cagliari contrappone allintransigenza e alla fierezza di Sassari e di Nuoro un suo maggiore saper fare: pieghevolezza che richiede per se stessa un versarsi allesterno.
Piace al Cagliaritano la casa bella. Gli piace, anzi venera, il suo mercato che tanto ricco da sembrare una permanente mostra di primizie. Tra pesci, crostacei, molluschi, erbaggi, grasce e dolci, si corre in inverno alle taccole: grappoli di otto tordi o merli, lessi e odorosi di mirto.
Economo di temperamento, il cittadino sa spendere, spende per trarne soddisfazione. La sua prima autonomia quella di non mancare del necessario a tavola. Per nascondersi al fisco, che ivi ha centocchi, niente veri e propri palazzi. Scendere quotidianamente alla marina per formare la processione nel sole o, nel maltempo, sotto i portici della via Roma, un impegno. Tradizionalista, non si fida di quanto gli proponga una brusca deviazione di rotta, vincendo in questo Sassari e Nuoro.
La prosa non lo attira, la musica lo incanta, la lirica lo trasporta in un paradiso carnale. I vincoli di famiglia sono saldi, lonore coniugale geloso. Caustico tanto quanto arguto il Sassarese il quale ultimo crede e non crede, ammira e irride insieme, e si concede di guardare un po dallalto i Sardi ,12 poco puntuale ai convegni, corretto negli affari.
Amicizie che nascono da simpatia: compagno di scuola mai si dimentica; gli uomini pi fedeli delle donne; rari gli scandali, blandi amore e odio che sono forti invece nelle solitudini del Nord e del Centro ; maldicenza che sostituisce la vendetta la quale, talvolta, in alcune contrade dellinterno, esplode per lo pi in ritardo. Odiare no: guasta le digestioni; inimicizie nemmeno: perch richiedono impegno; amicizie neppure: perch importano sacrifici. Pigrizia che accetta quello Daccordo in questo con quei di Gallura i quali tendono a vivere negli stazzi sparpagliati, a differenza degli altri Sardi che preferiscono accentrarsi.
Dalla stessa pigrizia, e da essa soltanto, nasce il complesso che pu essere chiamato del feticcio, il quale mal si concilia col desiderio dapparire e demergere. E anche quello dellattesismo, che nel le fece accettare come una novit stupenda il futurismo. E se Nuoro al di sopra o quasi dei santi patroni colloca i patrocinatori dei tribunali; e Sassari, la libera antica contadinesca e laboriosa citt, come la disse Luigi Falchi,13 pur tenendosi dei suoi professionisti, esalta a ragione i suoi orti, i suoi agrumeti e i suoi uliveti e le sue vigne; Cagliari sta per glimpresari e per glingegneri: e alla Deledda e al Satta, vanto di Nuoro, contrappone un qualche suo saggio amministratore pubblico, e porta alle stelle i suoi fumaioli e le sue ciminiere.
Sacro e profano si mescolano alle feste. Fasto e coreografia spagnoleschi piacciono alle citt e ai villaggi. C quasi pi feste che santi, perch a qualche intercessore si ricorre anche due volte lanno, tanto sono infide le stagioni, e accaniti i flagelli, e il fisco.
Andare di festa in festa dunque un po come voler incantare la fortuna. E non c Sardo che non si auguri di farsi festaiolo almeno tre volte in vita sua.
Che significa toccare le tre citt principali. Cagliari chiama le genti il 1 maggio, quando il patrono dellisola, SantEfisio, parte dalla citt nel suo cocchio dorato, con un corteo variopinto preceduto dalle launeddas lamentose, per Nora sua patria che affiora dalle acque marine con i suoi ruderi di marmo.
Sassari spopola i villaggi con la sua festa dei Candelieri, a Ferragosto: celebre quella sua processione umoresca, e significativo lonore che concede alla bandiera dei massai, facendola sventolare, insieme col tricolore e con la bandiera della citt, al balcone del Palazzo ducale, sede del Comune. Salvato in 3 liste dei desideri.
Miele amaro. Il Maestrale , Scrivi recensione. Miele amaro di Salvatore Cambosu. Valutazione generale. Titolo recensione. Modifica Conferma. Altri formati e servizi. LIBRO disp.
Aggiungi al carrello. Venditore: Fozzi Libri. Dettagli Recensioni. Tutte le offerte 2 Nuovo 2 Usato 0 Altri venditori. Prezzo e spese di spedizione. Venduto e spedito da IBS. Non disponibile. Altri venditori. Tutti i formati ed edizioni. La testimonianza, tra le numerose di Maria Lai relative al periodo di apprendistato con Arturo Martini, si trova in: G. Cuccu, M. Cose tanto semplici che nessuno capisce, Cagliari, Arte Duchamp, , p.
Cambosu, Lo zufolo, Bologna, Edizioni La festa, Lai, In viaggio con Salvatore Cambosu, in «La grotta della vipera», 95, , pp. Ciusa, M. Bua, M. Rombi, Nota bio-bibliografica, in S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Ilisso, , p. Collu, Nuoro, Ilisso, Cambosu, Lo sposo pentito, a cura di B. Rombi, Nuoro, Il Maestrale, Rombi, Nota bio-bibliografica cit. Venturi, Cambosu a «Il Politecnico», in U. Brigaglia ; S. Cambosu, Miele amaro, Nuoro, Tipolitografia F.
Devilla, , Prefazione di F. Masala; S. Cambosu, Miele amaro, a cura di B. Rombi, Nuoro, Ilisso, Massaiu ripubblicato insieme con l'inedito Una stagione a Tharros, nel volume Due stagioni in Sardegna, a cura di B. Rombi, Genova, Marietti, , che «ci racconta la breve storia di Cardellino, un fanciullo cresciuto in un paese immaginario della Sardegna centrale e costretto nella trappola delle inerzie di una tradizione che mostra i primi segni di intacco. A dire il vero tutto il racconto si concentra nella messa a fuoco di un momento particolare della vicenda umana di Cardellino: la fase cruciale precoce ai tempi del suo passaggio dalla spensierata fanciullezza al disincanto della vita adulta.
Caocci, Nota Introduttiva, in S. Cambosu, Una stagione a Orolai, Nuoro, Ilisso, , p. Pinna, Un bastimento carico di miele e di poesia, in «La Nuova Sardegna», 2 gennaio , successivamente in M. Bua e G. Mameli, a cura di, Lo scrittore nascosto. Rombi, Prefazione, in S. E soltanto il suo farsi pietra vi avrebbe posto rimedio.
Maria Pietra non costituisce soltanto il motivo ispiratore di molteplici e differenti opere per concezione e per tecnica , realizzate in fasi anche distanti della produzione di Maria Lai. Il meglio di Salvatore Cambosu cit.
Rombi, Prefazione cit. Dello stesso studioso cfr. Collu, a cura di, Salvatore Cambosu tra due Sardegne cit, pp. Sulla lingua di Salvatore Cambosu si concentrano soprattutto i saggi di Cristina Lavinio: La lingua degli scrittori sardi Cambosu, Fiori, Masala , in «La grotta della vipera», 9, , pp. Lingua e stile di scrittori, Roma, Bulzoni, , pp. Collu, a cura di, Salvatore Cambosu tra due Sardegne cit.
Cambosu, Miele amaro. Rombi, Nuoro, Ilisso, , pp. I poteri di Maria Pietra non potevano essere usati per fini pratici, nemmeno per un grande amore come quello di una madre per il suo bambino ammalato.
Quando il suo bambino nel delirio della febbre chiede di giocare con gli animali del bosco, la madre sfida la paura e strappa al bosco lontano, una per volta, cerbiatte, lepri e tortorelle che arrivano e muoiono.
La paura fa nascere il bisogno di costruire un ponte per attraversare un grande vuoto, il torrente tumultuoso della vita umana, senza caderci dentro. Sperare e sognare non basta. Di Castro, M.
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